Gianni Berengo Gardin l’occhio come mestiere

Oggi vi parlo di un fotografo italiano che stimo per diversi motivi, un fotografo che ancora oggi ha un’influenza importante per la fotografia italiana o almeno per quei pochi fotografi italiani che ancora studiano fotografia e non pensano solo ai megapixel.

Gianni Berengo Gardin nasce a Genova nel 1930, comincia a scattare una fotografia considerata ai tempi “artistica”. Un giorno uno zio ritornato dall’America amico di Cornell Capa (fratello di Robert Capa) chiede quali libri può portare al nipote che sta cominciando a fotografare e Cornell gli suggerisce: “Life”, della Farm Security Administration, di Dorothea Lange, Robert Capa e di James Smith.

Grazie al dono ricevuto dello zio comincia a studiare fotografia, specialmente considerato che avere dei libri di fotografia ai tempi non era così facile, come lo stesso Berengo ricorda spesso.

Berengo Gardin non voleva studiare, “non gli interessava”, così il padre gli consigliò di andare a lavorare. Si trasferì quindi a Parigi dove lavorò come cameriere e nel tempo libero cominciò a frequentare Doisneau, Masclet e Willy Ronis.

In realtà non sono il “Cartier-Bresson italiano”, sono il “Willy Ronis italiano” perché da lui ho imparato quasi tutto, sia la pratica che la teoria. E a Parigi ho scoperto la foto umanista, quella che i francesi chiamano la foto umanista. G.B.G.

Così comincia a fare il fotoreporter ma i giornali non pubblicano neanche una sua fotografia e decide di buttarsi nell’editoria ma nessuno accettava il suo lavoro su Venezia considerata una fotografia non appropriata visto che come dice lui stesso: “non era la classica foto cartolina”. Così un giorno organizza una mostra e un editore Svizzero in una settimana impagina un libro dando inizi alla sua carriera.

Sii un conservatore

G. Berengo Gardin è un grande conservatore della pellicola definendola “vera fotografia”, per lui la vera fotografia è quella in bianco e nero perché lui è nato con la televisione in bianco e nero.

Si scontra con tanti fotografi, in tutte le sue interviste sembra maledire la fotografia digitale per tanti aspetti, è inutile dire che lui rimane fermo del suo parere: è un conservatore, su tutte le sue fotografie applica un timbro “vera fotografia”.

Cambia Strada

Ha cambiato la sua strada pubblicando libri invece di pubblicare sui giornali e a suo dire questo cambio di direzione è stata la cosa migliore che gli poteva capitare. La strada che ha intrapreso Berengo ha cambiato le opinioni degli italiani come la legge Basaglia che ha permesso la chiusura dei manicomi e di vedere la vita nei campi Rom più da vicino.

Filosofia di scatto

Per lui il fotografo è come il medico o l’architetto; è un artigiano a tutti gli effetti, in tanti lo reputano un artista ma lui non si ritiene tale anzi non vede questo lato della fotografia scostandosi un bel pò dalla fotografia americana. Nel suo ultimo libro c’è un’intervista che cambia questo aspetto della sua filosofia o almeno quella che vediamo nelle sue interviste, definendo la sua fotografia una sua parte di vita nella maniera più pura.

Una condivisione soft

Berengo ha tanti amici fotografi come Tano D’amico e Elliott Erwit con cui ha anche fatto la mostra “Un amicizia ai sali d’argento” ed ha avuto una grande stima da parte di H.C.B. che gli fece una bellissima dedica. Ma Berengo è un fotografo schivo e da quello che si dice non partecipa agli eventi e si fa vedere solo nel suo negozio preferito di Milano, New Old Camera.

Conclusione

Mi sono soffermato su pochi aspetti, quelli che mi hanno sempre colpito di questo grande fotografo che ancora oggi continua a stupirmi. Vi invito a vedere i video che trovate sul canale youtube di New Old Camera che ci regala ogni tanto dei video incredibili su Berengo.

Buona Luce

Emanuele