Richard Sandler l’occhio della città

La fotografia di Richard Sandler è per me un connubio di influenze, e quando guardo le sue fotografie le domande sono tante.

Ho conosciuto la sua fotografia grazie a un intervista che gli era stata fatta per parlare dei fotografi newyorkesi, parlava di fotografia in modo molto familiare e così cominciai a cercare sui social il suo lavoro.

Dopo qualche anno usci il suo libro “The Eyes of the City”, che si trova costantemente sulla mia mensola dei libri.

Richard comincia a fotografare grazie a suo fratello che era un fotografo amatoriale, un giorno all’età di 16 anni prende la macchina fotografica del fratello e comincia a scattare da li comincia a sviluppare e stampare nella camera oscura, e rimane affascinato dalla fotografia.

La versatilità artistica Sandler è un incrocio affascinante tra la fotografia di strada e la regia cinematografica documentaristica. Oltre a essere un fotografo rinomato, Sandler ha diretto e girato otto film non fiction, creando opere che si immergono nelle profondità della realtà urbana.

Tra i suoi lavori più significativi spiccano “The Gods of Times Square,” “Brave New York,” e “Radioactive City”.

Le sue fotografie sono state accolte nelle collezioni permanenti di alcune delle istituzioni culturali più prestigiose al mondo: Brooklyn Museum, il Center for Creative Photography dell’Università dell’Arizona, l’Houston Museum of Fine Art, il Museum of the City of New York, la New York Historical Society e la New York Public Library.

I suoi maestri

Quando per la prima volta ho visto i progetti fotografici di Sandler ho pensato subito alla fotografia di Garry Winogrand, e in un intervista racconta il workshop che ha fatto con lui negli anni 70 e afferma di aver imparato tutto da lui specialmente l’approccio.

C’è una storia dietro ogni persona

La sua fotografia è pura essenza dell’istinto umano congelato nell’attimo. Per Sandler, premere l’otturatore della macchina fotografica è come scrivere un diario senza parole, una narrazione visiva che trasmette sfumature di pensieri come se cercasse le parole del suo diario. Nel corso degli anni, ha fatto una scoperta cruciale: la fotografia è diventata la sua forma di espressione primordiale, un linguaggio attraverso cui catturare e condividere le complesse sfaccettature del mondo che lo circonda.

Sandler ha compreso che dietro ogni scatto c’è una parte di sé, un riflesso delle sue emozioni, dei suoi pensieri e della sua connessione con le persone e i luoghi che incontra. La macchina fotografica è diventata traduttore. Attraverso questo processo, ha imparato a riconoscere non solo la bellezza visibile, ma anche le sfumature nascoste, le contraddizioni e la complessità di ogni situazione.

Le vere fotografie sono quelle che fanno più domande che risposte. Richard Sandler

Per me la sua fotografia ha un unico filtro, le sue domande e forse questo che trovo qualcosa in comune con la mia fotografia.

Conclusione

E voi conoscete questo grande fotografo? Sto continuando a scrivere dei fotografi contemporanei che seguo e che studio ma sono veramente pochi.

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Buona Luce

Emanuele