Guido Guidi, Di sguincio, 1969–81 (Mack, 2023)

Oggi voglio parlarvi di un libro che mi ha sorpreso, sapevo che Guido Guidi abbracciasse la stessa filosofia di Lee Friedlander ma questo capolavoro ne è la prova o almeno credo.

Guidi ha recentemente completato questo lavoro, che era rimasto in archivio come un progetto incompiuto.

Questi scatti sono stati fatti nel 1969 al 1981, prima del Guidi a colori che tutti conosciamo e devo dire che questo lavoro mi ha spiazzato.

Il libro

Come sempre la stampa di Mack si fa riconoscere, la copertina rigida color grigio scuro è fantastica, con una fotografia al posto del titolo che invece troviamo scritto subito dopo l’apertura del libro e più avanti anche a matita.

il formato è orizzontale e le fotografie sono tutte in bianco e nero, scannerizzate da fotografie già stampate e ogni foto ha anche delle didascalie scritte a matita.

Prime impressioni

Si nota subito che questo lavoro è molto personale, a primo impatto c’è una ricerca che sembra lenta e molto riflessiva e qui devo dire che subito ho riconosciuto lo stile di Guidi.

Il titolo Di sguincio che vuol dire : Direzione obliqua, architettura, conformazione ad angolo ottuso di un vano o di una struttura muraria ci fa capire subito da dove proviene Guidi. Aprendo il libro la prima foto che troviamo è di un pavone in gabbia e un uomo che evidentemente lo sta guardando, mi sono soffermato tante volte su questa fotografia perché da una narrativa particolare a tutto il lavoro, la stessa sembra di apertura nella narrazione ma subito dopo troviamo il titolo scritto a matita e mi chiedo sarà questa foto a dare il titolo a tutto il libro?

Subito dopo una foto di una coppia, dalla didascalia che è scritta sulla fotografia stessa a matita c’è scritto che è stato usato un flash e un pellicola 35mm Rollei e da qui sembra iniziare l’intera narrazione visiva.

Dopo di che una sequenzialità tipica dei suoi editing di casa sua a Cesena, ho riconosciuto subito questa casa dalle altre fotografie che si trovano nei suoi libri e da alcune interviste che avevo visto su youtube dove parlava dei suoi esperimenti con le ombre.

Mi dico tra me e me la stessa serata che sfogliavo questo lavoro che questo libro è ambiguo ma tremendamente personale, Guidi cerca la spontaneetà invece del pensiero e da qui cominciano dei dittici fantastici.

I Sogetti

Scatti di Sguincio se proprio vogliamo richiamare il titolo del libro, la maggior parte sono scattate al volo ad amici e familiari, ritagliando volti, arti e senza preoccuparsi del mondo. Si nota la spontaneità e scioltezza che è piuttosto rara nella scena fotografica di oggi.

Sono convinto che se scattassimo così oggi, verremmo ignorati, per fortuna l’eminenza di Guidi ha permesso a queste fotografie di emergere, anche se in modo un po’ ambiguo.

Sguardi, sorrisi, giochi con la luce e il flesh e tanti ritratti alcuni a metà lasciando spazio all’ambiente, rimango poi senza fiato quando vedo delle foto che mi ricordano Friedlander.

Lo studio di Friedlander

Gia dalla prima fotografia si nota uno studio particolare della composizione, un lasciare all’osservatore quello che vorrebbe vedere.

Dopo soggetti, ambienti, interazioni parte un racconto narrativo che apre uno squarcio da pagina 126, e subito dopo una sequenzialità di un televisore che mi lascia a bocca aperta, anche se avevo intravisto qualcosa che faceva ricordare Friedlander.

E subito dopo degli autoritratti uno in una stanza con uno specchio con l’uso di una lampada e l’altro che sembra scattato in bagno.

troviamo alla fine una foto con una pagina bianca, come a voler dire che la nostra presenza non è un obbligo perché si percepisce, o almeno questa è l’interpretazione che ho dato alla fine di questo libro.

L’intervista di Antonello Frogia

Alla fine del libro c’è un intervista molto interessante che Antonello Frogia fa a Guidi e racconta che spesso scattava dal fianco senza guardare attraverso il mirino. 

Ci dice anche che in questo lavoro cercava di tener a bada il fastidioso cervello sinistro, e di non pensare. 

Conclusione

Di sguincio sembra una ceretta, proprio come dice Guidi ha scattato senza pensarci due volte ed è forse anche questo che ha fatto rimanere sul comodino questo libro. Le foto sono claustrofobiche, irriverenti, irrefrenabili e se il lavoro che conoscete di Guidi è formale ed elegante e a colori che potrebbe corrispondere a una musica classica, invece questo squarcio della sua fotografia ricorda un anima Punk o Stoner Rock.

Buona Luce

Emanuele